La Pagina numero 2, con il colore giallo che contraddistingue l’area Ricerca, accoglie le voci dei caregiver familiari che hanno risposto ai questionari della ricerca Meglio a casa? L’impatto economico e sociale dell’assistenza domiciliare per le persone anziane con demenza nell’area metropolitana di Milano, realizzata dal centro di ricerca CERGAS SDA Bocconi con il sostegno della Fondazione. Per rendere l’intera ricerca di facile consultazione e fruizione, la Fondazione ha realizzato un Quaderno con testi accessibili e un apparato di infografiche e illustrazioni.

Il primo numero di Quaderni, la collana editoriale sui temi dell’invecchiamento, è dedicato alla cura a casa delle persone anziane con demenza.
Qual è il luogo migliore per invecchiare? Quanto è complesso gestire una persona con demenza a casa? Quanto costa? E che cosa chiedono i caregiver?Sono questi alcuni degli interrogativi che abbiamo messo al centro di Meglio a casa?, il primo numero della collana Quaderni. Il volume, che nasce da una ricerca realizzata da CERGAS SDA Bocconi con il sostegno della Fondazione, analizza gli impatti economici e sociali dell’assistenza al domicilio delle persone anziane affette da demenza, con particolare attenzione al territorio milanese. In altre parole, Meglio a casa? è un’indagine sulla complessità della cura. Una complessità che nella maggior parte dei casi, come emerge dai risultati, fa capo alle famiglie. Si tratta, quindi, di un vero e proprio family air: quasi il 90% degli over 65 non autosufficienti viene assistito a casa e il mondo dei servizi domiciliari fa molta fatica a rispondere efficacemente
alle necessità dei caregiver e dei parenti di cui si prendono cura. Eppure, le evidenze dimostrano che dare la responsabilità dell’assistenza principalmente ai nuclei familiari senza un’adeguata presenza di servizi territoriali di supporto e integrazione è una strategia poco lungimirante.
Innanzitutto vengono mantenute e ribadite le diseguaglianze sociali tra famiglie con maggiori e minori risorse; inoltre, l’impegno quotidiano richiesto ai caregiver – pratico, economico ed emotivo – può essere talmente soverchiante da ostacolare la loro capacità di affrontare transizioni complicate con proattività, consapevolezza e pianificazione. Il rischio è quello di rimanere intrappolati in perduranti responsabilità che accano energie e risorse, rincorrendo emergenze sempre nuove che richiedono decisioni, per sé e per altri, influenzate da frustrazione e senso di
solitudine. Dare la parola ai caregiver ci è sembrata quindi una scelta obbligata. Utilizzando alcuni disegni sperimentali molto innovativi, abbiamo chiesto a circa 100 famiglie di esprimersi sull’esperienza di cura che stanno vivendo. Ecco un mosaico delle loro voci.
Perché avete scelto di curare a casa il vostro caro?
Paola: «Be’, la scelta di curarlo a casa è stata da un lato affettiva, nel senso che lo volevamo
tenere vicino, e dall’altro è stata una scelta anche di tipo economico. Ero andata a chiedere i costi
delle RSA e la pensione di mio papà non sarebbe bastata. E quindi ho usufruito di tutti i permessi
possibili.»
Giulia: «Non avremmo mai potuto ricoverare mia madre se non contro la sua volontà, facendole
una violenza che temevo fosse eccessiva, perché nell’ambito della demenza c’è anche la non
consapevolezza. Quando, pur essendo alla ne, sono riuscita a chiamare l’ambulanza per portarla
in clinica, lei urlava, si aggrappava al corrimano. Per mia mamma andare fuori casa voleva dire
morire.»
Enrico: «Uno alla ne non cerca neanche delle altre soluzioni. Non so, mia sorella mi scrive:
guarda che il Comune di Milano ti dà il voucher per il taxi, se la mamma deve andare con la
badante a fare una visita le mandiamo col taxi. Poi, però, quando cerchi di accedere al servizio
scopri che è nito perché non ci sono fondi.»
Michela: «Il centro diurno potrebbe essere un buon supporto, cioè quattro ore alla mattina. Però
devi avere qualcuno che viene a prendere il malato, che lo porta lì e te lo riporta a casa. Tu sei al
lavoro e questa soluzione non è possibile. Il Centro Alzheimer era dall’altra parte della città e non
te lo venivano a prendere.»
Quali sono state le vostre necessità nell’immediato e quale sostegno avete ricevuto per orientarvi
tra i servizi esistenti?
Roberto: «Logisticamente siamo stati travolti. Non ho avuto neanche il tempo di vedere se ci sono
dei servizi, delle agevolazioni, dei centri diurni. Ho l’elenco, ma non ho avuto neanche il tempo di
chiamarli o di andare lì a vedere come erano. All’inizio la dottoressa di base diceva: io non posso
intervenire, non posso fare, non posso chiamare.»
Elena: «All’inizio il supporto serve molto. Quando si scopre di avere un problema in casa e non si
sa come organizzarsi, serve un supporto per gestire i conflitti che possono nascere in famiglia,
per superare la fase di negazione del problema e quindi per capire come muoversi. Accettare,
capire cosa fare, dove andare a sbattere la testa… forse è questa la cosa di cui uno ha più
bisogno. Io ho sentito forte la mancanza di informazioni, quello che ho imparato è stato in modo
assolutamente autonomo.»
Giulia: «Sono andata al centro dei servizi sociali del municipio in cui risiedono i miei. La risposta è
stata: se il loro reddito supera i 10.000 euro all’anno non possiamo fare nulla. Quindi niente
assistenti sociali. Perciò ho dovuto ricorrere al privato, per sopperire alla mancanza del pubblico.
Adesso tantissime agenzie offrono badanti e assistenza di ogni tipo. Ma è molto difficile trovare la
serietà. A Milano queste agenzie stanno moltiplicando, ma la serietà è veramente rara: ce ne sono
alcune molto buone, però altre… è caporalato, diciamo.»
Quali sono state le implicazioni pratiche e logistiche di questa scelta e come ha intuito anche dal
punto di vista emotivo?
Elena: «Avere una persona da assistere in famiglia ti cambia la vita. Adesso i miei gli sono grandi,
ma se questa cosa fosse successa quando erano piccoli non so come avrebbe intuito. Non va
dimenticato che un caregiver dedica uno spazio mentale anche al proprio nucleo familiare, uno
spazio che non può mai eliminare. Quindi si sommano i gli, il marito, il lavoro e la persona da
assistere.»
Silvia: «Non ho dovuto rinunciare al lavoro perché con la pandemia e lo smart working è
aumentata la flessibilità. Sono stata aiutata dalla legge 104 e da un ambiente di lavoro
comprensivo. Le mie assenze non sono mai state oggetto di recriminazione. Però lavoro no alle
quattro ogni giorno, spendo tutte le ferie con i miei genitori e anche i weekend, perché
ovviamente la badante ha le sue giornate libere. Quindi capite la vita che rimane.»
Anna: «Purtroppo la condizione di mio marito mi impedisce di avere tempo per me stessa. Non ho
più una vita, non ho un minuto per me. Le mie glie lavorano e una di loro ha anche un glio.
Quindi possono aiutarci solo saltuariamente, possono darci consigli, ma non possono farsi carico
dell’assistenza.»
Giulia: «Dal punto di vista emotivo è difficile affrontare la malattia di mia madre e accettare lo
stravolgimento dei ruoli: da glia a genitore.»
Michela: «Il mio contesto familiare è molto critico. Oltre a dover gestire da sola due genitori
anziani molto fragili, ciascuno a suo modo, mia sorella è un’invalida psichica molto grave al
100%, quindi le difficoltà si moltiplicano.»
Tommaso: «Sicuramente l’appoggio anche psicologico alla famiglia è fondamentale. Ma questo
tipo di malattie fanno un po’ quella che chiamo terra bruciata intorno alle persone, perché parenti
e amici spariscono. Evidentemente sono spaventati da questa situazione, non sanno come
trattarla. Forse perché su quel tipo di malattie che anche le famiglie tengono a mantenere
nascoste. Ed è pesante, perché fare dieci giorni di vacanza con papà senza nessuno che ti viene
a trovare o che ti chiama… io sono esausto.»
Le parole delle persone intervistate rivelano fatiche e preoccupazioni, tuttavia i bisogni trovano
modo di mescolarsi con risorse e opportunità. La casa è lo spazio fisico, relazionale e simbolico
dove questo insieme di limiti e potenzialità si interseca e si sviluppa lungo traiettorie sempre
dinamiche. Indicazioni utili per disegnare effettivi servizi di accompagnamento e supporto che la
Fondazione sta presentando alle istituzioni.